Camilla pensò alla prima cena, alla gioia di vagare per il mercato scegliendo i frutti succosi di un amore che aveva preso a scorrerle in corpo. Una volta a casa le mani modellarono con grazia sognante gli ingredienti colorati. Aveva meditato a lungo sul tipo di menù da presentare al suo gradito ospite, voleva stupirlo, deliziarlo con semplicità casalinga, mostrare quella grazia culinaria di cui sapeva vestirsi quando ispirata da un incontro speciale.
Sensuale cucinare per un uomo, godere della preparazione lenta, speziata, sorseggiando nettare da un calice di vino, inebriandosi di quel gusto da conquista, la spallina del vestito che si muove all'unisono con i suoi passi per la cucina, il rumore delle scarpe alte che ha indossato per la sera. Un percorso di candele a segnare il tragitto fino alla camera da letto, incensi a profumare l'aria, l'odore di pietanze a sedurre i palati.
Musica.
Il rumore del campanello, un ultimo sguardo allo specchio e poi "Ciao", un bacio sulla porta, lui porge del vino rosso. Camilla sorride, pensa a quanto le piacerebbe che lui la facesse danzare fino alla cucina, come un cavaliere di altri tempi visto molte volte nei film anni '50.
La tavola apparecchiata accoglie i loro sguardi, conversazioni spontanee volano sopra i piatti. E' tutto molto buono, squisito, "sai anche cucinare!" sottolinea lui come a sigillare un patto denso di speranze per il futuro. "Sai anche cucinare!", parole che figli di mamme cuciniere italiane liberano con una sorta di orgoglio che batte in petto.
"Sai anche cucinare!".
Sì, so anche cucinare pensa Camilla e l'ho fatto per te, perchè mi piaci, perchè ti voglio, perchè desidero usare tutte le mie armi seduttive di donna e perchè voglio farti sentire a casa, nella mia casa, lì dove potrebbero scorrazzare un giorno pargoli fieri della mamma che "sa anche cucinare!".
Passano i mesi, di pietanza in pietanza, Camilla accoglie l'uomo che ama, lo accoglie a casa propria e lo coccola a casa sua, dell'uomo che la invita nel suo spazio, dandole carta bianca per la cena, attendendo rilassato sul divano che lei abbia finito, versando il vino nei bicchieri, porgendone uno a lei chinata sui fornelli e brindando: "al nostro amore tesoro!". Camilla è fiera, gli occhi luminosi mostrano tutto il suo orgoglio di donna amata che si prende cura dell'uomo che la fa sospirare. Tuttavia di sospiro in sospiro, di mese in mese, di anno in anno, il suono di quel soave "ooooohhhhhhhhhhh" si trasforma lentamente in "ooohh" fino a diventare un severo "uuuuuuuuuuuuuuuffffffffffff".
Ora la casa è diventata una sola. Loro sono una coppia da tempo e da tempo Camilla non indossa tacchi in cucina, ha un mollettone in testa, la spallina cade non per sedurre ma per la disperazione di non aver avuto tempo di cambiarsi. E' tardi, voleva andare al cinema con le amiche ma lui ha fame, cucina velocemente qualcosa, gestisce il frigo utilizzando non i frutti migliori della terra bensì quelli che passeranno a miglior vita se non li cuoce in breve tempo.
Lui si muove alzando coperchi e pronunciando le noiosissime e ripetitive parole "che mangiamo stasera?"
Lei trattiene i pensieri, prova a divagare, a ricordare quel primo giorno di tanti anni fa quando quella cena aveva il sapore di ciò che è saltuario, desiderato, preparato con cura. Camilla si guarda ora, quel primo e soave "sai anche cucinare!" ha segnato la sua condanna perchè lui non si è mai accontentato di un pasto frugale, di due uova e un insalata prima di uscire velocemente per vivere le gioie e le attività culturali della città. No, lui si aspetta il trattamento special, quello che la mamma gli ha sempre riservato, ogni giorno della sua vita di bambino, adolscente, adolescentino, adulto, adultino quando lei soleva piombargli in casa con dei contenitori speciali pieni di ogni delizia di mamma.
"Sai anche cucinare!" si abbinava ora a frasi come "Ma quante storie per un piatto di pasta!", "Non è ancora pronto? Ho una fame incredibile, sto con un panino da pranzo!", "Solo verdure, niente carne?", "Ma che siamo a dieta?", "Ahhh lasagne. Finalmente! Devi farti perdonare qualcosa?".
E ancora: "Che mangiamo stasera?", "Che mangiamo stasera?", "Che mangiamo stasera?", "Che mangiamo stasera?", "Che mangiamo stasera?", "Che mangiamo stasera?"...
Camilla lasciò correre i pensieri di quella prima volta, li sostituì con la rabbia di quell'ultima volta, del giorno in cui non potè fare a meno di abbandonare la cucina, di chiudersi in bagno, truccarsi, vestirsi e piombare di fronte al divano dicendo: "Sai una cosa? Mi hai proprio rotto le palle!" prima di guadagnare l'uscita insieme alla sua libertà di mangiare come e quando le pareva.
E fu in quel momento che lui capì quanto la amava, quanto non desiderava perderla, quanto avrebbe lottato per riconquistarla; giorni e mesi a lamentarsi con gli amici, a soffrire davanti ad un piatto precotto scaldato al microonde, nel disordine di una cucina trascurata, di un frigo vuoto come il suo cuore spezzato. Sospiri, pianti, neanche la mamma più a soccorrerlo. Disperato, follemente disperato almeno fino al giorno in cui un'altra donna gli avrebbe chiesto: "Vuoi venire a cena da me?".
© 2010 Cristiana Rumori
venerdì, dicembre 10, 2010
lunedì, dicembre 06, 2010
Liebestrasse
Matilde si aggirava per le vie di Monaco cartina alla mano. Era al centro di Max Weber Platz quando un uomo la sfiorò passando, Matilde alzò lo sguardo dalla mappa e chiese in un tedesco improbabile dove fosse Liebestrasse. And der Kreppe era quello che voleva chiedere, ma per qualche strana ragione le parole che uscirono di bocca furono Liebestrasse (la strada dell'amore). L'uomo non le regalò alcun sorriso, rimase cupo pur nel suo viso delicato e rispose con un secco "Ich will es nicht wissen!!" (Non voglio saperlo!).
Matilde fu come rapita da tanta brutalità, l'errore l'aveva messa di fronte a un uomo così restio a trovare la strada per l'amore. L'istinto la portò a dimenticare la via che stava cercando e provò a seguire l'uomo che si era allontanato con passo svelto. Il suo tedesco improbabile non la aiutò a spiegare bene che in realtà la via che desiderava raggiungere era un'altra e che Liebestrasse le era uscito di bocca senza alcuna ragione, tuttavia era contenta dell'equivoco perchè aveva avuto l'opportunità di chiedere ad un uomo così deluso e indispettito la ragione di tanta rabbia.
"Indispettito io?" farfugliò Jorg accelerando il passo. "Indispettito!" sottolineò Matilde, impossibile per lei accettare che qualcuno fosse all'oscuro del desiderio di provare amore. "Provare amore è come respirare – ripertè più volte – non può smettere di respirare, di annusare l'aria, inglobarla dentro di sé per rigettarla fuori trasformata, rigenerata..." Il suo tedesco migliorava di parola in parola, non se ne rese quasi conto, il desiderio di comunicare la rendeva perfettamente a proprio agio con la lingua che tentava di studiare a fatica da qualche mese. Concetti fluidi, interlocutori, ma incredibilmente di effetto, spinsero Jorg a rallentare l'andatura fino a prendere il ritmo di una passeggiata.
Di pensiero in pensiero Matilde assimilava il tedesco e Jorg imparava a camminare osservando il paesaggio intorno a lui. Ad un tratto cominciò a guardare quella donna così caparbia, insistente, testarda ma curiosamente intrigante. Indossava un cappello che provava a contenere tutti quei capelli ricci, ribelli, arrotolati come i suoi pensieri puri e proiettati verso il mondo intorno a lei.
"Ma chi era questa donna? Da dove veniva? Cosa l'aveva portata lì? E dove pensava di andare?".
Jorg non aveva mai creduto di porre tali domade ad una donna, riteneva di avere già chiare le risposte, ad una sconosciuta per giunta, un esserino sfiorato per la via, come miriade volte nelle sue giornate affollate di metropoli. Volti che passavano frettolosi, che parevano non notare nulla se non il pensiero della meta che li attendeva, l'appuntamento organizzato con anticipo, gli impegni quotidiani, le commissioni da fare, tempo gestito in ogni particolare, tratteggiato di punto in punto senza consentire rallentamenti non previsti. Ora di parola in parola Jorg aveva gioiosamente dimenticato il motivo per cui era uscito di casa, l'impegno non era più un impegno; l'aveva dimenticato, semplicemente, e l'unica cosa che pareva importante ora era continuare a passeggiare con Matilde.
Ascoltò, domandò, cominciò a rendersi conto dei suoi respiri. Parevano potenti, pieni, rilassanti. Necessari.
Respirò tutto il giorno fino a quando, di fronte ad un albero che copriva la facciata di un edificio, scorse dietro i rami il marmo con inciso il nome Liebestrasse. Fu a quel punto che fermò il passo e, come inebetito, iniziò a sognare.
© 2010 Cristiana Rumori
Matilde fu come rapita da tanta brutalità, l'errore l'aveva messa di fronte a un uomo così restio a trovare la strada per l'amore. L'istinto la portò a dimenticare la via che stava cercando e provò a seguire l'uomo che si era allontanato con passo svelto. Il suo tedesco improbabile non la aiutò a spiegare bene che in realtà la via che desiderava raggiungere era un'altra e che Liebestrasse le era uscito di bocca senza alcuna ragione, tuttavia era contenta dell'equivoco perchè aveva avuto l'opportunità di chiedere ad un uomo così deluso e indispettito la ragione di tanta rabbia.
"Indispettito io?" farfugliò Jorg accelerando il passo. "Indispettito!" sottolineò Matilde, impossibile per lei accettare che qualcuno fosse all'oscuro del desiderio di provare amore. "Provare amore è come respirare – ripertè più volte – non può smettere di respirare, di annusare l'aria, inglobarla dentro di sé per rigettarla fuori trasformata, rigenerata..." Il suo tedesco migliorava di parola in parola, non se ne rese quasi conto, il desiderio di comunicare la rendeva perfettamente a proprio agio con la lingua che tentava di studiare a fatica da qualche mese. Concetti fluidi, interlocutori, ma incredibilmente di effetto, spinsero Jorg a rallentare l'andatura fino a prendere il ritmo di una passeggiata.
Di pensiero in pensiero Matilde assimilava il tedesco e Jorg imparava a camminare osservando il paesaggio intorno a lui. Ad un tratto cominciò a guardare quella donna così caparbia, insistente, testarda ma curiosamente intrigante. Indossava un cappello che provava a contenere tutti quei capelli ricci, ribelli, arrotolati come i suoi pensieri puri e proiettati verso il mondo intorno a lei.
"Ma chi era questa donna? Da dove veniva? Cosa l'aveva portata lì? E dove pensava di andare?".
Jorg non aveva mai creduto di porre tali domade ad una donna, riteneva di avere già chiare le risposte, ad una sconosciuta per giunta, un esserino sfiorato per la via, come miriade volte nelle sue giornate affollate di metropoli. Volti che passavano frettolosi, che parevano non notare nulla se non il pensiero della meta che li attendeva, l'appuntamento organizzato con anticipo, gli impegni quotidiani, le commissioni da fare, tempo gestito in ogni particolare, tratteggiato di punto in punto senza consentire rallentamenti non previsti. Ora di parola in parola Jorg aveva gioiosamente dimenticato il motivo per cui era uscito di casa, l'impegno non era più un impegno; l'aveva dimenticato, semplicemente, e l'unica cosa che pareva importante ora era continuare a passeggiare con Matilde.
Ascoltò, domandò, cominciò a rendersi conto dei suoi respiri. Parevano potenti, pieni, rilassanti. Necessari.
Respirò tutto il giorno fino a quando, di fronte ad un albero che copriva la facciata di un edificio, scorse dietro i rami il marmo con inciso il nome Liebestrasse. Fu a quel punto che fermò il passo e, come inebetito, iniziò a sognare.
© 2010 Cristiana Rumori
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